sabato 11 agosto 2018

IL CASTELLO DI CALVELLO




IL CASTELLO DI CALVELLO



Accovacciato sulla cima d'un promontorio, a fronte del colle "Timpo  del Castagno", si erge un grosso caseggiato, approssimativamente detto "Castello".
A Nord sommerge su un rigagnolo a corso stagionale, con un precipizio di circa 200 m.; a mezzogiorno degradano le case accavallate l'una sull'altra con vicoli stretti. Poco discosta vi è la Chiesa di San Nicola, coninterno il coretto per i signori feudatari.
La grossa e sgraziata costruzione, con ogni probabilità, fu eretta sui resti di un'antica roccaforte che i Longobardi nel 700 stabilirono lassù, a guardia della vallata, che dalle falde della Volturino si stende lungo il fiume "La Terra" e del "Piesco", confluenti nel Basento, e separata nettamente dalle vallate dell'Agri e del Vallo del Diano.
I Longobardi, ottimi strateghi, intesero, e bene a proposito, ergervi una ben munita postazione militare, che controllasse il flusso per i tratturi che, provenienti dall'altro versante, dalla Campania, portano, superando il valico dei quattro confini, verso le Puglie, attraversando la valle del Basento per la strada delle cinque Chiese.
Non vi è notizia alcuna, né segni, né reperti, né tradizione d’insediamenti abitativi intorno alla roccaforte.



Essa era isolata in un mare di verde, e vegliata unicamente dal mormorio delle acque del fiume e dal passaggio dei viandanti.
La roccaforte esaurì la sua funzione e cadde in rovina, quando i costruttori persero il potere.
L'altura con i ruderi della roccaforte, come ancor oggi quella di fronte, era ricoperta da folti castagneti; e la foresta degradante dalla Volturino, lambiva il cenobio. I monaci, con paziente costante lavoro, disboscarono la zona, permettendo ai primi abitanti, che si andava raccogliendo, la coltivazione di cereali, ortaggi e la piantagione della vite.
Non vi è notizia alcuna, né segni, né reperti, né tradizione d’insediamenti abitativi intorno alla roccaforte.
Essa era isolata in un mare di verde, e vegliata unicamente dal mormorio delle acque del fiume e dal passaggio dei viandanti.
La roccaforte esaurì la sua funzione e cadde in rovina, quando i costruttori persero il potere.
L'altura con i ruderi della roccaforte, come ancor oggi quella di fronte, era ricoperta da folti castagneti; e la foresta degradante dalla Volturino, lambiva il cenobio. I monaci, con paziente costante lavoro, disboscarono la zona, permettendo ai primi abitanti, che si andava raccogliendo, la coltivazione di cereali, ortaggi e la piantagione della vite.
Quando, tra la fine del 1200 e gli inizi del 1300, i due Cenobi iniziavano l'inesorabile declino che li portò all'estinzione, sui resti della roccaforte fu edificato, dal Conte Bernardo, divenuto nel frattempo feudatario di un vasto territorio che dalla Volturino si spingeva fino alle radici, del Caprino, una grossa casa di campagna; una brutta costruzione quadrangolare di nessun interesse architettonica. Non vi sono segni o resti indicanti che originariamente vi fossero bastioni, merlature, feritoie, ponte levatoio. Non vi è alcuna traccia di caratteristiche che possa far pensare a un "castello".
Dopo il Conte Bernardo, nell'età sveva, Calvello fu feudo di Gentile De Patruno, il quale ribellatosi agli Angioini, perdette il feudo che fu assegnato da Carlo I D'Angiò a Enrico Bourguignon. Dopo passò a Roberto de Carny, e poi a Oddone de Oddone de Fontaine. Nel secolo XVI Calvello era feudo de idei Carafa, per passare poi ai Cutini, e infine ai Ruffo di Calabria.
Dei Carafa si ricorda l'obbligo contratto, con atto notarile nel 1786, per sé ed eredi, dalla duchessa Dorotea Laguy Carafa, di fornire l'olio occorrente ad alimentare la lampada del SS.mo Sacramento nella Chiesa di San Nicola "prope Castellum", ove la nobildonna si recava per le sue devozioni, durante la permanenza a Calvello. Da notare che tutti i feudatari, succedutisi nei secoli, non hanno avuto mai alcuna influenza sul paese, che si riconobbe invece, sempre ed unicamente, nei due Cenobi, fino alla loro estinzione, e nei francescani, succeduti ai benedettini alla fine del 1500.
La vita e il progresso sociale, nelle molteplici componenti artistico-culturale e di sviluppo, nella fierezza indipendentistica e libertaria, erano regolate dai Monaci; mentre i "signori feudatari", non si vedevano mai, se non per esigere, a mezzo di incaricati, le rendite dei terreni e dei balzelli, avallati dai dominatori di Napoli.
La famiglia Ruffo di Castel Cicale, ultima proprietaria, circa trent'anni fa vendette i terreni e il fabbricato; quest'ultimo lottizzandolo fra 12 o13 famiglie. Gli ultimi personaggi di detta famiglia, venuti a soggiornare a Calvello nel periodo estivo, sono stati: il conte de la Tour, consorte della Principessa di Castel Cicale e duchessa di Calvello, scomqualche anno fa, ambasciatore a l'Aia; e l'ultimo rampollo, il conte Paolo de la Tour, deceduto 4 anni fa. Era ben conosciuto dallo scrivente, al quale si premurava di corrispondere l'importo di lire 5 annue per l'olio della lampada della Chiesa di San Nicola. Avviato alla carriera diplomatica, come il genitore, esercitò le funzioni d'incaricato d'affari presso la Santa Sede nel periodo bellico; e nel 1946, per solidarietà con Umberto II, esiliato per referendum, rinunciò agli incarichi diplomatici e si ritirò a vita privata nel feudo di Castel Cicale presso Nola.
La secolare storia dei feudatari di Calvello finiva così squallidamente, nella dimenticanza di tutti.
Nel 1958 Paola, dei Principi di Ruffo di Calabria, ora Paola di Liegi del Belgio, col fratello Antonello venne a Calvello, e visitò, accompagnata dallo scrivente, i luoghi e il castello ove il genitore, Principe Ruffo di Calabria, valoroso aviatore nella guerra 1915-18 e compagno inseparabile nei memorabili raids dell'eroico pilota Francesco Baracca, era solito soggiornare per lunghi periodi, ospite dei cugini.
Il sisma del 23/11/1980 ha reso inagibile il grosso fabbricato che ora si vuole restaurare. 
Il castello di Calvello, è stato riaperto nell’agosto 2016, e sono visitabili il museo della ceramica e la sala 3D.

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